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Mittente |
Testi Fulvio |
Destinatario |
Molza Camillo |
Data |
10/1620 |
Tipo data |
effettiva |
Luogo di partenza |
Roma |
Luogo di arrivo |
Modena |
Incipit |
Le scritture di cui Vostra Signoria mi fa motto si sono publicate ancora qui, ma io non l'ho vedute |
Contenuto e note |
Testi scrive al conte Camillo Molza che le opere anonime [?] di cui gli ha parlato sono state pubblicate anche a Roma, ma egli non le ha volute leggere, per non assecondare la cattiveria degli autori. Questi sono da biasimare, dal momento che ricercano il successo e le lodi col calunniare gli altri. Ma allora, si chiede il Testi, perché nascondere il proprio nome? Sicuramente non si tratta di modestia né di vergogna né, tantomeno, di correzione fraterna dell'errore altrui. L'hanno fatto sicuramente per la loro troppa cattiveria: l'odio e il rancore non si nascondono facilmente. Come mastini che ringhiano persino al vento, questi uomini sono invidiosi e malevoli anche contro chi non conoscono. Inoltre i loro scritti sono pieni di bugie e si contraddicono da soli a causa della vanità dei loro argomenti. Conclude la lettera con la sentenza di Plauto, "cioè che 'l dir male de' migliori è 'l tesoro e la ricchezza de' pazzi". |
Fonte o bibliografia |
Fulvio Testi, Lettere, a cura di Maria Luisa Doglio, Bari, Laterza, 1967, vol. I, p. 26. |
Compilatore |
Ghelfi Laura |
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