Mittente Pallavicino Sforza Destinatario Malvezzi Virgilio
Data 1648 Tipo data congetturale
Luogo di partenza [Roma] Luogo di arrivo [Castel Guelfo]
Incipit Mi rallegro che v’impiegate con diligenza
Contenuto e note Pallavicino si complimenta con il Malvezzi impegnato a perfezionare la sua ‘Historia [universale della Monarchia’ di Spagna] che ben a ragione, più di altre storie, può definirsi “maestra della vita”, poiché “ci addottrina delle verità universali, che sono sempre”. Accoglie altresì, il Pallavicino, la definizione che di quest’opera ha dato lo stesso autore di essa, il Malvezzi, cioè di tela di Penelope, dovuta al lungo tempo in cui va elaborandosi: un tessere e ritessere senza fine che però “procede da un ostinato amore che tutto aborrisce fuorché l’idea della prudenza”. Annota ancora, a proposito dell’emulazione che il Malvezzi ha preso con Tacito, che quest’ultimo fu “filosofo, ma d’ingegno, non di scienza” mentre il Malvezzi lo è d’ambedue. Soggiunge che tuttavia Tacito è superiore al Malvezzi in una certa eloquenza. Ma cos’altro è questa se non “una fattucchieria di parole per mascherare la falsità o per inorpellare la povertà”? E passa a distingue due tipi di eloquenza: quella che aiuta a definire e ad abbracciare in un solo sguardo tutto il concetto; e un’eloquenza, invece, che “non sol dichiari il concetto, ma lo dipinga e lo adorni”: e quindi, se il concetto è difettoso lo emenda, ma se è già perfetto lo danneggia. Il bene – diversamente da quanto affermato dal Durando [di San Porziano] ben noto al Malvezzi – è meglio solo che congiunto: se infatti è solo ha ogni perfezione senza difetto, viceversa vale il detto “al sommo bene ogni aggiunta leva”. Aristotele, che tante verità di natura ha insegnato, ha usato minimi artifici nell’esporle: “il filosofo, che è amicissimo al vero, è inimicissimo all’ornamento”. E l’opera storica malvezziana, “che è tutta filosofia”, non deve rischiare di vedere occultate le sue proprie bellezze “sotto il velo de’ fregi”. Il Pallavicino invita quindi il Malvezzi a valutare se valga la pena che egli impieghi studio e tempo nel congiungere le proprie prerogative di scrittura a quelle tacitiane. Del resto anche Aristotele è andato diritto per la sua strada senza aver cercato di guadagnare alle sue opere e alla sua scrittura “la grandezza di Pindaro, la dolcezza di Anacreonte e le perfezioni congiunte di tutta la greca eloquenza”. Laddove esiste una perfezione superiore non v’è bisogno di una inferiore, se quest’ultima conferisce “solo un’accidentale bellezza”: concetto chiarificato dalla differenza che esiste tra un artefice che fa una spada di ottima tempra, semplice e con il pomo liscio, e un artefice che ne fa una indorata: l’una non sarà meno giovevole dell’altra a chi l’usa in combattimento e, per di più, lo spadaio che rinuncia all’orpello decorativo può ben impiegare tutto il suo tempo “in far maggior copia di buone armi a difesa della patria”. Ed appunto in tanto è inferiore Tacito al Malvezzi in quanto le doti dello storico latino “sono indorature d’else e di pomi” mentre il Malvezzi è tutto proteso “a fabricar armi infrangibili di verità”, e “maggior bene, maggior gloria è farne molte schiette che poche fregiate”. Infine un consiglio: il Malvezzi farebbe bene a scegliersi un altro emulo ben più impegnativo di Tacito: se stesso. [La, lettera, senza data, è collocabile alla prima metà dell’agosto 1648 grazie al preciso riferimento della responsiva (cfr. lettera di Malvezzi a Pallavicino del 18 agosto 1648, n. 18 Carminati)]
Fonte o bibliografia Clizia Carminati, Il carteggio tra Virgilio Malvezzi e Sforza Pallavicino, “Studi secenteschi”, XLI, 2000, pp. 408-412 (lettera 17)
Compilatore Giulietti Renato
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