Mittente Pallavicino Sforza Destinatario Malvezzi Virgilio
Data 16/1/1647 Tipo data effettiva
Luogo di partenza Roma Luogo di arrivo [Castel Guelfo]
Incipit Condannerei temerariamente i cieli
Contenuto e note Pallavicino s’augura che il Malvezzi, al quale scrive, goda di buona salute almeno per un mese, ch’è il tempo che occorre perché il Malvezzi dia alle stampe due suoi libri, due ‘Ercoli’ come li definisce il Pallavicino, [ovvero la vita di ‘Alcibiade’ e quella di ‘Coriolano’ che appariranno come ‘Considerazioni con occasione d’alcuni luoghi delle vite d’Alcibiade e di Coriolano’, Bologna, eredi del Dozza, 1648]. Nell’attesa, il Pallavicino invia intanto al Malvezzi la sua tragedia [‘Ermenegildo martire’, Roma, Corbelletti, 1644] nel cui terzo coro si trova qualche discorso ripreso proprio dal Malvezzi. L’autore conosce già alcuni difetti di questa tragedia - qualche scena assai lunga, qualche espressione dura dovuta alla necessità di fare la frase breve e significante - e altri ve ne troverà per certo il Malvezzi. Poi, riconosce il Pallavicino, che nella parte finale di essa avrebbe dovuto usare un accorgimento già raccomandato dal Malvezzi nel suo ‘Tarquinio [superbo’ (Bologna, Ferroni, 1632)], cioè quello di far annunciare prima a voce quello che poi effettivamente verrà portato fisicamente sulla scena: come quando Bruto, nipote del re Tarquinio, annuncia, nella piazza, il suicidio di Lucrezia e accalora gli animi degli astanti prima che il cadavere della donna venga portato poi realmente lì davanti. Passando ad altro, Pallavicino si intrattiene su un dubbio che ha avuto il Malvezzi circa l’interpretazione di un luogo aristotelico della ‘Politica’ [I 1], del quale ha evidentemente [in una lettera al Pallavicino non conservataci] sottoposto al nipote una possibile interpretazione: [in tale passo di Aristotele si tratta del rapporto fra padrone e schiavo, fra marito e moglie e fra padri e figli, ove i secondi (schiavo, moglie, figli) sono in rapporto di subalternità con i primi per necessità di natura]. Aristotele sottolinea poi, fra lo schiavo da una parte e la donna (moglie) dall’altra, la precisa distinzione che ne fa la natura poiché quest’ultima destina ogni singola cosa a una sola funzione [in questo caso, lo schiavo alle “operazioni servili” e la donna alla generazione e alla cura della prole], cosa ben diversa – aggiunge Aristotele – dalla funzione che svolge, per esempio, il cosiddetto ‘coltello delfico’ che serve per diverse funzioni: “per forare, per tagliare e per segare”. “Per tanto sarebbe povertà di natura se [la natura] avesse creati gli istessi per questi due ministerii”. Date queste premesse, Malvezzi si era chiesto se, di conseguenza, l’essere atti “a più cose” potesse significare stare “nel basso grado degl’istrumenti imperfetti”. Non è sicuro, tuttavia, il Pallavicino, d’aver fatto piena luce sul significato di quel luogo aristotelico e si aspetta che il Malvezzi ne tratti ancora con lui: “Ella che mi ha fatta veder la difficoltà, me la sciolga”. Le uniche persone con cui il Pallavicino è in rapporto epistolare sono il Malvezzi stesso e mons. [Fabio] Chigi dal quale ha ricevuto, da poco, una lettera che giudica “non inferiore in esempi di santità eroica a quelle di San Bernardo, o di San Girolamo”. Per finire si congeda dal Malvezzi aggiungendo ai suoi i saluti del padre Famiano Strada del quale “è ormai stampata un’altra deca delle sue belgiche istorie” [‘De bello Belgico decas secunda …’, Roma, Eredi di F. Corbelletti, 1647].
Fonte o bibliografia Clizia Carminati, Il carteggio tra Virgilio Malvezzi e Sforza Pallavicino, “Studi secenteschi”, XLI, 2000, pp. 404-406 (lettera 15)
Compilatore Giulietti Renato
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