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Mittente |
Franco Nicolò |
Destinatario |
Carafa Diomede |
Data |
25/6/1553 |
Tipo data |
effettiva |
Luogo di partenza |
Napoli |
Luogo di arrivo |
Popoli |
Incipit |
Hor'udite signor mio, il bel caso, al quale si dee provedere |
Contenuto e note |
Nicolò Franco scrive a Diomede Carafa. Ha subito un furto da un notaio e chiede il suo aiuto. Gli racconta tutta la vicenda: nei mesi precedenti Messer Onofrio (Nazio, probabilmente), con cui Franco viveva, tenne al suo servizio il figlio di mastro Clemente dal Peschio, di nome Giovan Cola, che voleva andare a Roma per diventare notaio, ma prima di farlo ha svaligiato un forziere di Franco. Questi si è accorto del furto solo dopo qualche giorno, e ha aspettato a denunciarlo perché sperava che Giovan Cola, dopo essere divenuto notaio, sarebbe ritornato in Abruzzo. Adesso ha saputo che dovrebbe trovarsi a Sulmona "a pigliare miglior prattica della sua naturale". Franco chiede a Carafa di intervenire, scrivendogli e facendogli intendere che, nonostante il furto, Franco è disposto a perdonarlo. In particolare, si augura che Dio perdoni Mastro Clemente, che non è responsabile delle malefatte del figlio, che forse avrebbe dovuto tenere con sé nel Peschio e far diventare sarto. Franco si augura di incontrare presto Carafa a Popoli. |
Fonte o bibliografia |
Città del Vaticano, BAV, Vaticano latino 5642, cc. 436v-437v |
Compilatore |
Federica Condipodero |
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