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Mittente |
Cebà Ansaldo |
Destinatario |
Copia (Copio) Sara (Sarra) |
Data |
18/4/1620 |
Tipo data |
effettiva |
Luogo di partenza |
Genova |
Luogo di arrivo |
Venezia |
Incipit |
Io sodisfeci con la prosa assai subito c'hebbi il vostro ritratto |
Contenuto e note |
A distanza di una settimana rispetto alla lettera precedente, Cebà, ora in grado di scrivere autonomamente, adempie alla propria promessa e offre al ritratto di Sara il dovuto tributo di versi. L'intervallo di tempo gli rese possibile comporre degnamente: dovette, almento in parte, abituare la sua vista alla potenza dell’immagine. Tuttavia, afferma Ansaldo, non giova alla sua condizione contemplare Sara, né su tela [cfr. lettera dell'11.4.1620 "Gran padre di misericordia è il nostro Dio"] né, tantomeno, di persona: egli è infatti troppo fragile per interpretare in modo adeguato il ruolo d’amante, e troppo lontano per dedicare alla giovane donna la concretezza dei suoi servigi; in quanto a una guida morale, Sara è saggia, e non ha bisogno di un altro padre. Ciò nonostante, Cebà insiste nel perorare la conversione della sua interlocutrice, intorno ai cui polsi si stringe una catena che è di ferro, e non d’oro: questa catena va assolutamente infranta. Così, infatti, se affrancata dalla religione ebraica, Sara potrà risplendere in Paradiso con il medesimo volto – trasfigurato però nella gloria – con cui ora brilla sulla tela e nell’anima di Cebà. Vengono riportati poi il sonetto scritto da Sara ad accompagnare il dono del proprio ritratto, “L’imago è questa di colei ch’al core”, e il sonetto in risposta di Cebà, “Felice stella a l’infelice ardore”, che trae spunto dal verso conclusivo del componimento di lei. |
Fonte o bibliografia |
Lettere d'Ansaldo Cebà scritte a Sarra Copia e dedicate a Marc'Antonio Doria. In Genova, Per Giuseppe Pavoni, MDCXXIII, pp. 73-76. |
Compilatore |
Favaro Francesca |
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