Mittente Tolomei Claudio Destinatario [Bellarmati] Girolamo
Data 2/11/1543 Tipo data effettiva
Luogo di partenza Roma Luogo di arrivo [Parigi]
Incipit Gran maraviglia e querela insieme è quella che avete fatto con esso me per le vostre
Contenuto e note Girolamo "Begliarmati" in una precedente lettera del 28 ottobre aveva probabilmente rivolto al Tolomei qualche "querela" e espressione di "maraviglia" per la bassa condizione in cui versava l'amico. Questa è la dotta risposta del Tolomei che, tra le molte citazioni classiche, accusa di ciò la sua "bassa fortuna" e rifiuta l'idea che onori e ricchezze portino la felicità. Dopo aver individuato la causa delle accuse rivoltegli dall'amico nel troppo amore che gli porta [e cita il Platone del ?Simposio?], rievoca l'"antico litigatore" che "appellò da Cesare adirato, a Cesare non adirato". E benché secondo la "sentenza de li Spartani" nel chiedere aiuto a Dio "sempre è bene aiutarsi da se stesso", tuttavia si lamenta che uomini "con minor qualità che non son le mie" salgano "prestamente ai gradi honorati", mentre lui è costretto "in bassa fortuna, ed in condizion privata". Ma poi, si chiede Tolomei, è proprio vero che la fortuna terrena coincida con la felicità? Socrate ha detto di non domandare "veruna cosa a Dio, ma solamente quel ch'era bene". E l'oracolo, [come si legge in Valerio Massimo, ?Factorum et dictorum?, VII,1], non ha giudicato felice nessun re, ma Aglao Psofidio. Tolomei in ogni caso non vuol fare come coloro "che ne tempi antichi corser con le canestre a quella montagna, credendosi di pigliar la luna". L'animo dell'uomo rimane grande anche nella bassa fortuna, come rimane grande un masso in fondo a un pozzo e piccolo un nano in cima a un palazzo: la felicità di ogni cristiano sta nella grazia di Dio, non nelle ricchezze terrene, le quali, anzi, spesso sviano l'uomo dalla retta via, come le fiere [del I canto dell'Inferno della ?Commedia?] di Dante [Alighieri]. Seguono alcuni esempi di superiorità della vita privata e tranquilla rispetto a quella volta ad onori e ricchezze: Abdomino creato re da Efestione [quarto libro delle ?Historiae Alexandri Magni? di Curzio Rufo]; Diocleziano, che da "savissimo e potentissimo imperatore", si ritirò a vita privata e "in Ischiavonia piantava l'herbette di sua mano stessa"; Simile, capitano di Adriano [Cassio Dione, ?Storia romana?, LXIX, 19]. D'altronde, "Pindaro diceva che sempre appresso l'un bene havevano gli Dii Immortali appiccati due mali". Ed è chiaro che non tutti la pensino come il Tolomei, ma anche Eraclito "amaramente piangeva" di quelle cose di cui Democrito "rideva allegramente". E al riguardo cita l'episodio di Parmenione e Alessandro Magno, [anche questo dal IV libro delle ?Historie Alexandri Magni? di Curzio Rufo]. Immancabile a questo punto è la citazione puntuale del VII canto dell'Inferno sulla Fortuna (anche se, probabilmente citando a memoria, Tolomei scrive "sesto cantico"). E come avrebbe potuto il Tolomei creare, fabbricare da sé la sua buona sorte? Servendo i signori forse? "Questo ho fatto io sì di continuo, che quasi non sono stato mai libero, di che mi duole amaramente". La lunga lettera - una di quelle in cui è più evidente la tendenza del Tolomei ad intendere il genere in chiave trattatistica sulla scorta di precedenti classici - si chiude attorno al tema della virtù: parlando di quella simulata, loda la punizione inflitta agli ipocriti da Dante [nel XXIII canto dell'Inferno], le cui cappe erano più pesanti di quelle con cui l'imperatore Federico [Federico II di Svevia] era solito punire i colpevoli; parlando di quella vera cita la virtù cristiana "perfetta" cercata "da quel giovene Hebreo", e menziona alcuni esempi classici d'"escellenza di costumi", come Aristide, Socrate, Focione, Catone [il censore]. L'epistola si chiude con alcune citazioni di virtù e motti [da Plutarco]: Pedareto spartano [?Vite parallele?]; Satibarzane presso Artaserse [?Moralia?]; Turino presso Alessandro; [Gaio] Mario [?Vite parallele?].
Fonte o bibliografia Claudio, Tolomei, De le lettere di messer Claudio Tolomei libri sette con una breve dichiarazione in fine di tutto l’ordin de l’ortografia di questa opera, Venezia, Gabriel Giolito de Ferrari, 1547, c. 23r
Compilatore Carlessi Mario
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