Mittente Cebà Ansaldo Destinatario Copia (Copio) Sara (Sarra)
Data 10/10/1620 Tipo data effettiva
Luogo di partenza Genova Luogo di arrivo Venezia
Incipit Prendiamo il tempo quando viene
Contenuto e note In apertura della missiva, pur caratterizzata dal lessico dell'amore, Cebà si dice propenso a denominare Sara sua figliola, invece che sua domina o anima o speranza; glielo impone la differenza d'età che separa la sua chioma canuta dalla giovinezza di lei, e non vale a fargli assumere un diverso registro espressivo l'esempio del greco Anacreonte, che affiancava tranquillamente gigli e rose. Inoltre, sebbene ovviamente non sia il padre carnale di Sara, si augura, da padre spirituale, di portarla alla rigenerazione interiore. Dedica un cenno giocoso a [Giovanni] Basadonna [cfr. lettera del 3.10.1620, "Ho due vostre lettere"] per rassicurare la Copia: non è più geloso che ella abbia amici da Ca' Basadonna, perché non ha più paura di ricevere "diademi da Ca' Cornaro" [ossia di essere tradito]; si preoccupa invece che Giacob, marito di lei, si crucci a causa del carteggio intrattenuto dalla moglie con un cristiano. Dopo essersi soffermato a lungo sulla natura dell'amore che nutre verso Sara, le cui ferite soavi al proprio cuore egli s'impegna a ricambiare offrendo vita per morte, Cebà conclude però che proprio la fede cristiana non gli permette di conversare con una donna ebrea per l'esclusivo diletto di amare e di essere riamato, e lo spinge invece a comportarsi da servitore in senso religioso, cioè da fautore di una conversione. In chiusura della missiva - l'ultima, a suo dire - Ansaldo invita Sara a non credere mai che egli, nonostante non scriva, l'abbia dimenticata.
Fonte o bibliografia Lettere d'Ansaldo Cebà scritte a Sarra Copia e dedicate a Marc'Antonio Doria. In Genova, Per Giuseppe Pavoni, MDCXXIII, pp. 99-103.
Compilatore Favaro Francesca
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