Mittente Doni Anton Francesco Destinatario Dolce Lodovico
Data Tipo data assente
Luogo di partenza Luogo di arrivo [Venezia]
Incipit O gran dispetto, o che intolerabil dispiacere credo che riceva
Contenuto e note Anton Francesco Doni scrive a Lodovico Dolce che trovare una cassa piena di ducati, credersi ricchi e invece risvegliarsi straccioni dà sicuramente un gran dispiacere; lo stesso proverà un infermo che si sogna sano e si risveglia comunque malato; di contro un avaro si risveglia felice nel constatare che il furto subito era solo un sogno. Le stesse emozioni le prova chi è in prigione e sogna di essere libero e viceversa, mentre chi sogna di essere con l’innamorata continua a provare un po’ di piacere anche dopo essersi svegliato. Così la notte appena passata Doni ha preso sonno mentre ragionava sulla vita e sulla morte; durante il sonno ha sognato di essere morto, ma si ritrova vivo, e lo capisce perché mangia. Almeno finché non gli raccontano “la favola d’un nostro Fiorentino”: novant’anni fa c’era un bottegaio chiamato Girolamo Linaiuolo, che sul viso aveva dei punti verdi; nella sua bottega, l’osteria della Campana, un viandante gli disse che lo aveva visto morto a Milano e che l’aveva riconosciuto grazie ai sedici punti verdi sul viso. Aggiunse particolari fisici di Linaiuolo uditi dalla seconda moglie del bottegaio, risposata con un suo familiare. A queste parole il bottegaio si spaventò e chiese di che male era morto, il viandante rispose che era morto di crepacuore per i tradimenti della moglie, e che era morto anche in quel momento; se non lo credeva, doveva solo guardarsi allo specchio. Vistosi bianco e con le labbra livide se ne andò a casa, vaneggiando per strada; una volta arrivato si mise in camicia e si distese su di una tavola per terra, con due candele benedette della Compagnia del Tempio [Compagnia di Santa Maria Vergine della Croce al Tempio] ai piedi e “una croce et un lume al capo". Tornata a casa, la moglie lo vide in quello stato e, dato che sembrava morto, lo credette tale e iniziò a gridare. Andò così a seppellire il marito; ma quando Girolamo lasciò la bottega c’erano due suoi amici, uno si occupò del locale, l’altro lo seguì, e accortosi della sua idea di credersi morto andò “dove si seppelliva” e fece in modo che nella fossa ci fossero pietanze e due uomini finti morti, per compagnia. Una volta seppellito, il bottegaio aprì gli occhi e vide gli uomini che mangiavano, chiese loro se pure i morti si nutrivano, quelli risposero di sì, così mangiò anche lui. Finito il pasto chiese cosa avrebbero fatto a quel punto, gli risposero che ora se ne andavano a casa e poi alle loro botteghe, perché così aveva ordinato “il buon Messer Domenedio”; il bottegaio ringraziò il Signore, contento di resuscitare di nuovo, poi tutti e tre uscirono e tornarono a casa. Dopo questo episodio visse molti anni, dicendo assurdità sulla sua sorte finché la morte non lo fece davvero smettere. Doni quindi ha sognato di morire, e il primo uomo incontrato era un piovano, cuoco nell’abbazia del Buon Sollazzo, la prima che si incontra una volta morti; il piovano si presenta come Arlotto, e spiegato che era il cuoco conduce Doni dentro l’abbazia, formata interamente da cibi diversi, seguendo però gli stili dorico ionico e corinzio. Il pavimento era di dolci di ogni gusto; anche le colonne erano fatte di cibo, la volta della chiesa era di dolci, come il pavimento. Era giorno di festa, perché le mura erano piene di volatili d’ogni tipo, arrostiti; panche e sedie fatte di cibo; gli altari invece tutti pieni di cibo; sull’altare maggiore “v’era la guadagnanza”, perché il cibo preso era subito sostituito con ancora più cibo, del quale era in ogni momento stracolmo. C’era il corpo di Diluvio, il fondatore dell’abbazia, ricoperto di cibarie d’ogni tipo. All’improvviso si scatenò una tempesta: il vento odorava di buono; la pioggia era ottimo vino; la grandine confetti; i pozzi traboccavano di vino. Doni e Arlotto sfruttarono la ‘guadagnanza’ per tutto, poi andarono in giardino: pieno di ogni fungo e di ogni albero da frutto, sopra i quali gli uccelli facevano il nido e nascevano già cotti. C’era un lago, pieno di ogni pesce, e bastava dire quale pesce si voleva e come lo si voleva cucinato che ti saltava in mano come lo desideravi. Il cuoco allora disse che se da lui a Maciuoli fosse esistito un simile posto, avrebbe fatto “triomphare i Preti alla festa di san Cresci”. Mentre diceva questo, Doni sentì della musica e delle voci, vide dei poeti, allora chiede al cuoco cosa ci facessero lì; egli rispose che erano venuti per partecipare alla festa e che ora se ne stavano tornando sul Parnaso. Doni allora pensa che i poeti abbiano dopo la morte la sorte opposta a quella che hanno in vita, ove muoiono di fame, ignorati; quei poeti erano donne, fanciulle, giovani, tali che il più vecchio aveva trent’anni, e Doni ne conosceva pochi. A uno di questi il cuoco disse che il suo ‘Furioso’ era splendido, e che era il suo sollazzo; il poeta rispose chiedendogli se fosse arrivato qualcuno destinato a tornare in vita; allora il cuoco rispose che quello vicino a lui, Doni, stava per andarsene. Il poeta chiede a Doni di portare la lettera che gli porge ad una persona che gli vuole bene e ama le sue composizioni; vuole averne risposta, perché se la dà ad un suo amico quello la farà avere al cardinale Ippolito [d'Este], il quale ha il potere di esaudire il suo desiderio, perché avendo il poeta intitolato l’'Orlando’ alla memoria di suo zio egli è obbligato a fargli un favore. Doni da queste parole capisce che ha davanti [Ludovico] Ariosto [autore, appunto, dell’’Orlando Furioso’] e grida tanto forte da svegliare sua moglie, che gli dà due sberle che lo fanno svegliare; svegliato crede di avere qualche male, dato che nel sogno era morto, e prende paura. Si è quindi svegliato peggio di chi è povero e si sogna ricco. Appena tornato alla calma, nota che ha tra le mani una lettera: decide dunque di fare ad Ariosto il favore che ha chiesto. Ha pensato perciò di dare questo incarico a Dolce, perché egli ama Ariosto e gli ha fatto onore cantandone le lodi, e perciò potrà dare fedele recapito alla lettera. Se non esaudirà la richiesta, una volta che sarà sul Parnaso, si scuserà con Ariosto; ma se lo farà, Doni gli sarà infinitamente obbligato in questo mondo. Allega la lettera [indirizzata ‘Al reverendissimo et Illustrissimo Cardinale Donno Hippolito da Este’, senza data e spedita ‘Da Campi Elisi dove è sempre Primavera’].
Fonte o bibliografia Lodovico Dolce, Lettere, a cura di Paolo Procaccioli, Manziana, Vecchiarelli, 2015, pp. 268-273
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