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Mittente |
Brunetto Orazio |
Destinatario |
Dolce Lodovico |
Data |
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Tipo data |
assente |
Luogo di partenza |
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Luogo di arrivo |
[Venezia] |
Incipit |
In fine non è mai tanta la solertia d'un Galanthuomo |
Contenuto e note |
Orazio Brunetto scrive a Lodovico Dolce che la solerzia di un galantuomo non è mai abbastanza a difenderlo dall’insolenza dell’ignoranza. Intende che se Dolce non è riuscito a riguardarsi “da quel capruto mostro” [forse il frate Sisto da Siena, con cui Dolce ebbe una polemica], non c’è da meravigliarsi se nemmeno lui ce l’ha fatta. La sfacciataggine di quell’uomo è grande, e si crede un ottimo retore, così Brunetto vuole che venga sacrificato a Bacco. Non sa dire chi sia stato il meno prudente dei due nell’essersi immischiato con quell’uomo, da cui né utile né onore poteva nascere; il suo carattere bestiale l’ha stampato in fronte, e il pelo gli ricopre sia il corpo che l’anima, e con loro si è comportato da bestia ignorante. Dovevano rendersene conto prima. Però nessuno sa che il fuoco scotta prima di averlo toccato; ora che hanno provato le punture di Appuleio [il nomignolo del frate], sapranno evitare persone simili. Chiede quindi a Dolce di tener conto delle parole del frate per quello che valgono e non per quello che cercano di essere. Conclude pregandolo di non “havere a ffare con sì vil gente” e di allontanarlo, perché è meglio perderlo che trovarlo; per vivere oramai “non bastano gli occhi d’Argo”. |
Fonte o bibliografia |
Lodovico Dolce, Lettere, a cura di Paolo Procaccioli, Manziana, Vecchiarelli, 2015, pp. 255-256 |
Compilatore |
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