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Mittente |
Aretino Pietro |
Destinatario |
Dolce Lodovico |
Data |
25/11/1537 |
Tipo data |
effettiva |
Luogo di partenza |
Venezia |
Luogo di arrivo |
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Incipit |
Io, compar, vi scrivo i versi sottoscritti, acciò che non crediate |
Contenuto e note |
Pietro Aretino scrive un sonetto a Lodovico Dolce, per pagare l'obbligo che i sonetti di Dolce gli hanno imposto. Afferma che la donna di servizio della gloria illumina con una candela di sego, "e non col torchio" [lume composto da più candele unite insieme], il buio del suo nome; porta l'ignoranza sul palmo della mano, chiedendogli di far sì che non venga scomunicato dai dotti quando la presunzione, comune a "ciascuna sorte di gente" gli fa scrivere di argomenti sacri. Aretino merita di essere scusato, visto che è andato a scuola per tanto tempo, anche quando compone "ladramente"; al contrario di chi compone in greco e in latino facendo molti errori, reputandosi invece bravo per aver azzeccato un accento. Cita Gian Giordano [personaggio proverbiale] nel dire che non sa né cantare né ballare, ma che copulerebbe come un asino. Chiede infine a Dolce di scusarlo per le sue "coglionerie", dato che è più profeta che poeta. [Dopo la firma riporta il sonetto promesso a inizio lettera, 'Dolce, Ambrosia d'Apollo, le cui stille'] |
Fonte o bibliografia |
Lodovico Dolce, Lettere, a cura di Paolo Procaccioli, Manziana, Vecchiarelli, 2015, pp. 175-176 |
Compilatore |
Chiarolini Marco |
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