Mittente Dolce Lodovico Destinatario Crivelli Paolo
Data 16/2/1545 Tipo data effettiva
Luogo di partenza Pieve (Piove )di Sacco Luogo di arrivo Venezia
Incipit M'è caro, che mi habbiate per huomo di quel gran giudicio
Contenuto e note Lodovico Dolce scrive a Paolo Crivelli per ringraziarlo di essere ritenuto da lui uomo di gran giudizio. Dolce ritiene che sia più difficile trovare il ritmo della prosa piuttosto che del verso, essendo quella di campo più largo; della prosa scriverà quindi più ampiamente e con più agio. Ringrazia poi Giolito e un'altra persona per i due libri [le due commedie di Ludovico Ariosto richieste nella lettera del 12 febbraio 1545 'Quanto alla venuta di Roma di Messer Francesco': il "Negromante", Venezia, Bindoni, 1542, e la "Lena", Venezia, Bindoni e Pasini, 1538] che gli hanno mandato, e avvisa Crivelli che sta aspettando la "Scholastica" [Gabriele Ariosto, 'La Scolastica', Venezia, Griffio, 1547] che gli ha promesso. Gli pare che l'autore [della 'Scolastica'] voglia aspettare di stamparla fino al suo ritorno, che spera possa avvenire entro Pasqua, così che sia lui a curare le correzioni di stampa; chiede quindi di avvisare di questo [Gabriele Ariosto]. Riferisce che la sua commedia ha "mutato viso" e che ne ha fatta un'altra, e forse ce ne sarà una terza [Lodovico Dolce, 'Il Capitano', Venezia, Giolito, 1545 e 'Il marito', Venezia, Giolito, 1545]. A colui che gli ha scritto una lettera piena più di parole che di amorevolezza risponde che non ha incontrato queste difficoltà se non dal momento in cui gli ha chiesto di fargli quel favore. Aggiunge che i segni che cerca, i quali ora dovrebbero dimostrare il loro effetto, ma che non si aspetta, servono per avere giovamento, come fa la medicina con l'ammalato. Nessuna cosa gli era grata, e Dio lo sa, come il poter mostrare sempre effetto di vero amico a questa persona, effetto che da quando è nato ha sempre mostrato almeno col cuore, se con gli atti non ci è riuscito; anche se come uomo può avere peccato, di certo non si è macchiato di quello dell'ingratitudine, che è il peggiore di tutti. Se riuscirà a far vedere ancora questo desiderio, vuole però che quella persona non sappia che derivi da lui. Si scusa con Crivelli per la poca cortesia usata nell'aver parlato così tanto delle ingiustizie subite da questo amico, gli manda quindi tre sonetti, dove la prima quartina è chiusa grazie a Dante [forse si riferisce al sonetto 50, "Ecco, che le mie colpe ad una ad una", dove il quarto verso riprende il secondo emistichio di 'Paradiso', XXIII 20]. Lo informa che sta cercando ogni passatempo possibile per combattere la noia, causata dal Carnevale passato in campagna e dalla mancanza di conversazioni con Crivelli, mitigata però dalla loro corrispondenza. Chiede a Crivelli, dato che la loro corrispondenza ha creato fra loro un forte legame, di non dargli più nominativi come "Signoria" o "Servitore", e quello di "Divinità" lo può lasciare a [Pietro] Aretino [perché ha il titolo di Divino per i contemporanei]; è sorpreso come da questa aria piena di "tuoni" [i titoli] che gli vengono riservati non sia scoccata ancora nessuna saetta, ma poi pensa che forse è già stato colpito. Conclude chiedendo di essere raccomandato a Crivelli stesso, al fratello Francesco [Crivelli], e a Francesco Berrettaro, suo compare.
Fonte o bibliografia Lodovico Dolce, Lettere, a cura di Paolo Procaccioli, Manziana, Vecchiarelli, 2015, pp. 83-85
Compilatore Chiarolini Marco
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