Mittente Dolce Lodovico Destinatario Badoer Federico
Data 3/4/1542 Tipo data effettiva
Luogo di partenza Padova Luogo di arrivo [Venezia]
Incipit L'allegrezza, che io prendo, magnifico et virtuoso Messer Federico
Contenuto e note Lodovico Dolce scrive a Federico Badoero (Badoer) riguardo all'avvicinarsi del ritorno del padre [Alvise, a Constantinopoli per una missione diplomatica per raggiungere la pace], ritorno che dà piacere a tutti, anche per via del motivo della partenza. C'è chi però non ne è felice e lo calunnia, ma i meriti sono tanti e Badoer deve rallegrarsene: poche maldicenze non li possono oscurare, anche se è difficile vedere l'ingratitudine al posto di un premio. In quanto "allevato ne gli studi delle buone lettere", Badoer sa che qualunque benemerito cittadino di una Repubblica, pregno di virtù, è sempre stato prima o dopo punto dal dente avvelenato dell'invidia. Così come accadde a [Quinto] Fabio [Massimo, il Temporeggiatore] e Scipione [l'Africano]: il primo aprì la via per la conquista di Cartagine e il secondo la conquistò, ma venne poi mandato in esilio a Linterno [Liternum] dove morì, mentre il primo mai è stato accusato di pigrizia. Ma Badoer deve "rasserenar la mente" pensando ai meriti del padre, il quale è nato per dar beneficio alla Repubblica, per la quale ha già più volte messo a rischio la vita, dato che l'ama e vuole solo giovarle; la virtù non può diventare vizio. Nessuno ha mai avuto a cuore il bene comune come "Badoaro" (Badoer) padre, infatti discende da una famiglia antica e nobile che sforna solo uomini egregi. Il lignaggio ha molta importanza, ma anche da solo "Alvigi Badoaro" (Alvise Badoer) dimostra tante "virtù dell'animo" quante "prodezze del corpo". Alvise iniziò gli studi in tenera età e a sedici anni [nel 1499] riuscì a difendere lo zio da un'accusa d'omicidio, e venne lodato come un nuovo Cicerone. Esercitò poi la professione "dell'avocare", utile a sè e a quelli che difese contro i prepotenti, senza voler premio; era eccellente nella lingua e nei consigli, tanto da meritare di essere chiamato "Re delle cause et Prencipe de' Iureconsulti". Eletto "Avocatore" [1531] rivide le spese di eserciti e guerre di terraferma così che in poco tempo recuperò molti soldi a beneficio della Repubblica; a beneficio dei popoli invece tagliò "intolerabili gravezze". Vide anche diversi uffici male amministrati e ci mise mano, andando contro uomini di grande autorità e dalle famiglie potenti, ma non se ne curò; nessuno di chi gli era amico era nemico della Repubblica. Andato a Padova per via di alcune rivolte, causate dalla carestia, risolse con maestria la situazione, tanto che venne lodato da tutti una volta ripartito. Dopo questo lavoro gli fu chiesto di esaminare le leggi per correggerle, per via della corruzione che poteva averle intaccate, e oggi se ne osservano di riformate a favore della città grazie a lui. Fece anche un'orazione contro i Savi del Collegio, per non entrare in guerra con la Turchia, ma invece la guerra fu proclamata e allora disse di farsi alleato l'Imperatore; tutto questo gli valse la nomina di Savio di Terraferma [1538]. Fu mandato dall'Imperatore [1537], e riuscì a promuovere la tregua col "Re Christianissimo" [Re di Francia], portando grande onore alla Repubblica. Quando i Turchi devastavano la Dalmazia fu creato un provveditore generale per quella provincia, e fu nominato Alvise [primavera del 1538 fino a fine anno], nonostante la concorrenza dei maggiori nobili della città. Con pochi uomini prese "Obroazzo" (Obrovazzo, croato Obrovac), azione che molti con eserciti maggiori non riuscirono a fare, mentre di notte andò nel territorio nemico convincendo ottomila anime ad unirsi alla causa, portando anche numerosi animali per sfamare la provincia. Tornato dalla Dalmazia fu eletto di nuovo Savio di Terraferma [1539] per un'altra orazione, grazie alla quale convinse anche chi era contrario a tenere l'armata fuori dal golfo; grazie a ciò fu chiamato "liberatore et padre della patria". Morto il Duca di Urbino [Francesco Maria I Della Rovere] fu mandato come controllore in quei territori, e fece il lavoro diligentemente. Andò come "privato gentiluomo" a Costantinopoli, senza nessun titolo, rischiando la vita, per promuovere la pace coi Turchi, necessaria data la penuria in cui stava Venezia; ci andò in un periodo di guerra, in inverno [1539], tra "genti Barbare" e senza salvacondotto, una situazione pericolosissima. Rese possibile la riconciliazione col sultano Suliman (Solimano), ottenne la concessione delle tratte del frumento e la restituzione di molti schiavi, molti dei quali grazie a lui non pagarono nessun riscatto e da lui vennero vestiti e dotati di denaro. Nessuno come lui rese onore alla Repubblica. Dolce avvisa Federico che non ha elencato che la minima parte dei meriti del padre, per i quali una lettera non basta; deve rallegrarsi perché una volta finite le invidie, ed è una cosa certa, contro il padre, Alvise tornerà ad essere onorato dalla città, e le sue fatiche riconosciute come meritevoli. Chiede infine di essere raccomandato a Domenico Veniero (Venier) e a Giulio Bragadino.
Fonte o bibliografia Lodovico Dolce, Lettere, a cura di Paolo Procaccioli, Manziana, Vecchiarelli, 2015, pp. 64-69
Compilatore Chiarolini Marco
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