Mittente Loredan Giovan Francesco Destinatario Valier Ottaviano
Data Tipo data assente
Luogo di partenza Venezia Luogo di arrivo Valiera [Residenza veneziana]
Incipit Sortì la Vita il Re Alfonso Quarto di questo Nome, e Settimo Re di Portogallo l'anno 1290 in Conimbria.
Contenuto e note Loredan scrive a Ottaviano Valier [Zio di sua moglie, Laura di Giovanni Valier, che sposò a Venezia l'8 giugno 1638] la vita del settimo Re di Portogallo, entro un progetto che doveva comprendere tutti i re da Alfonso I [Alfonso Henriques di Borgogna, detto il Conquistatore, che regnò dal 1139 al 1185] fino a Giovanni Duca di Braganza, "che al presente regna" [Giovanni IV di Portogallo detto il Fortunato, in carica dal 1640 al 1656; è quindi possibile datare grossolanamente questa sezione di lettere in un torno di 13 anni, dall'incoronazione del sovrano portoghese, alla pubblicazione dell'edizione delle stesse, nel 1653]: ma questa settima biografia di fatto segna la conclusione della sua trattazione storica. Alfonso IV nacque in Conimbria [Coimbra] nel 1290; ancora giovane, prima di governare, fu obbligato a sposarsi con Beatrice figlia di Sancho IV Re di Castiglia, e nel settimo lustro prese le redini del governo. In principio trascurò i bisogni dei sudditi, perchè impegnato nelle sue amate battute di caccia, lasciando che questi venissero tiranneggiati e oppressi dai suoi Ministri. Alcuni lo esortarono a non abbandonare il governo per i piaceri della caccia: se aveva ottenuto dal Signore Dio il potere di proteggere gli uomini non doveva abbandonarlo per le fiere; era destinato ad ascoltare, giudicare e promuovere gli interessi del suo popolo, che sarebbe andato incontro alla morte pur di soddisfarlo; non sarebbe stato glorificato per aver ucciso cinghiali e cervi, ma per aver amministrato la giustizia e per aver governato con dovere. Il genio feroce di Alfonso si irritò all'ascolto di questi avvertimenti, tanto che pensò di castigare tutti coloro che volevano un Re non cacciatore; ma tornato in sé stesso perdonò la loro libertà e gli ammise tra i suoi più cari [consiglieri]. Ascoltando quei consigli, lasciò la caccia e si applicò totalmente al governo del Regno: la sua prima impresa fu contro coloro che si erano armati verso Dioniso suo padre, perchè gli affetti radicati nell'animo difficilmente svaniscono e l'odio che egli provava nei riguardi del fratello Sancho si rinnovò nel comando. Mentre Sancho si trovava lontano, Re Alfonso fece in modo che alcuni uomini scellerati, che adulavano la fortuna del Re, testimoniassero contro il fratello addossandogli le colpe attribuite a suo padre quand'era in vita; perciò in nome della Regia volontà, Sancho fu bandito dalla Lusitania, privato di tutti gli onori e ebbe confiscati tutti i suoi beni. Al tempo della sentenza egli si trovava in Castiglia e ricevuta la notizia pregò il Re di restituirgli la grazia, promettendo di servirlo non come fratello ma come Re; ma rendendo vane queste promesse Sancho prese le armi contro il fratello, volendo cercare la ragione nel ferro anziché nelle suppliche. Dopo molte guerre sofferte dalla popolazione, il Re sancì col fratello una pace più necessaria che sicura. Era celebre allora presso gli Spagnoli, per nobiltà e ricchezze, Giovanni Emanuele figlio del Principe Emanuele nipote di di Re Ferdinando, che meritò il cognome di Santo; figlia di Giovanni Emanuele era Costanza, che non ancora in età da matrimonio fu promessa al Re Alfonso XI di Castiglia; ma quest'ultimo, offeso da alcune misteriose ragioni, abbandonata la fede giurata, sposò invece Maria, figlia di Alfonso Re di Portogallo. Passato qualche tempo il Re di Portogallo pensò che Costanza, per le sue condizioni singolari, fosse degna del Principe suo figlio, ne scrisse al genero Alfonso e poi iniziò a trattare con Emanuele: entrambi risposero, il Re di Castiglia con simulazione ed Emanuele con sincerità gli offrì la figlia. Il Re di Castiglia, o rimpiangendo che diventasse Regina colei che aveva ripudiato, o invidiando il Principe Pietro che avrebbe sposato una così degna femmina, dopo molti artifici impugnò le armi e si mise a impedire il passaggio di Costanza in Portogallo. Da ciò derivarono molte stragi che, dopo numerosi spargimenti di sangue, furono sedate dall'autorità del Pontefice Benedetto XII [al secolo Jacme Fornièr], e Costanza fu sposata al Principe Pietro. Intorno al 1340, Haliboace Re di Marocco e Granada, con un potente esercito, mosse guerra ad Alfonso Re di Castiglia minacciando anche tutta la Spagna. Alfonso, esortato dai consiglieri, mandò a chiedere rinforzi e aiuti al suocero Re di Portogallo, inviando a questo proposito sua moglie, per meglio realizzare il suo fine. Il Re di Portogallo, accolta la figlia e l'ambasciata, non solo destinò gli aiuti al genero, ma si offrì anche come capo di quella resistenza. Giunto in Castiglia, il Re di Portgallo riuscì, per la felicità dei Cristiani, ad assalire i Mori e dopo una larga strage riportò una memorabile e ricca vittoria, la più gloriosa che si ricordi: negli accampamenti nemici vennero trovate massicce quantità di oro e di argento che pareva tutte le ricchezze d'Africa fossero state trasportate in Spagna; questo perchè i barbari [Saraceni] si aspettavano una facile vittoria e avevano progettato di stabilirsi in Spagna, perciò avevano portato tutte le ricchezze disponibili per conservare la loro fortuna nella nuova patria. La vittoria seguì nei pressi del fiume Saledo. Il Re consegnò al Pontefice Benedetto XII, che risiedeva ad Avignone, ventiquattro insegne tolte ai nemici, tra queste vi era proprio lo stendardo del Re di Marocco, insieme a molti cavalli e Principi Mori fatti schiavi in battaglia; inoltre fece condurre in Portogallo il figlio di Re Iulmenza fatto prigioniero, ponendo di sua mano anche cinque insegne nemiche nel Tempio Maggiore, cosicché i posteri vedessero le memorie della sua Virtù e della sua Gloria. Appena tornato in Portogallo egli, lasciatosi vincere da alcuni perfidi consigli, fece giustiziare ingiustamente Agnese di Castro, con la quale il figlio Pietro aveva avuto diversi figli; dopo la morte di Costanza, Agnese era in moglie al Principe e si credeva pubblicamente che alla fine avrebbe sostenuto lei lo scettro di Portogallo. Questo episodio provocò tragedie nel Regno e fu la causa delle guerre civili tra il padre e il figlio: l'opinione però ascriveva ciò ad un giusto Giudizio di Dio, mentre Alfonso soffriva per mano del figlio quelle stesse ingiurie che in passato aveva inflitto al padre. Il Loredan prosegue il trattato con l'elencazione della prole che Beatrice diede a Re Alfonso: furono sei figli, tre maschi morirono fanciulli, il quarto fu Pietro che gli successe nel Regno; e due femmine, Maria che sposò Alfonso Re di Castiglia, ed Eleonora che fu moglie di Pietro IV d'Aragona. Re Alfonso IV, settimo Re di Portogallo, morì a Lisbona a settantasette anni, nel Maggio del 1357, dopo aver esercitato il comando per quasi trent'anni e mezzo. Fu sepolto nell'andito della cattedrale insieme a sua moglie Beatrice, lasciando ricche rendite ai sacerdoti, sia per la spesa del sepolcro, sia per la celebrazione continua di messe e anniversari per le loro anime. Egli fu un sovrano forte e audace, non si trovò mai davanti alcun pericolo che potesse minacciare la sua risolutezza. Esercitò le ragioni dell'Onestà e della Giustizia e verso il Signore Dio dimostrò straordinario zelo e riverenza. Promulgò a favore del Regno alcune leggi uniche che si conservano tutt'ora [ancora nel XVII secolo, all'epoca in cui scrive il Loredan] negli Statuti del Portogallo. Se egli non avesse mosso guerra al padre, o sdegnato il fratello, o ancora se non si fosse macchiato le mani col sangue innocente di Agnese, l'invidia non troverebbe niente da biasimare nella sua vita; assomigliò al padre per le virtù, ma fu a lui inferiore nella liberalità. La sua morte giunse nel momento in cui non fu più desiderato in vita; scordate le sue imprese, i sudditi non ebbero l'occasione di piangere a lungo la sua perdita. Loredan conclude così la sua trattazione storica sui Re di Portogallo, auspicando una rinnovata e umilissima osservanza nei confronti del destinatario, da cui si congeda.
Fonte o bibliografia Giovan Francesco Loredan, Lettere, Venezia, Guerigli, 1653, p. 485, 'Lettere Historiche'
Compilatore Severgnini Ivan
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