Mittente Loredan Giovan Francesco Destinatario Valier Ottaviano
Data Tipo data assente
Luogo di partenza Venezia Luogo di arrivo Valiera [Residenza veneziana]
Incipit Ecco, che io riverisco Vostra Signoria con il secondo Re di Portogallo. Nacque Sancio in Conimbria li 11 Novembre del 1154.
Contenuto e note Loredan scrive a Ottaviano Valier [Zio di sua moglie, Laura di Giovanni Valier, che sposò a Venezia l'8 giugno 1638] il secondo trattato storico in forma epistolare sui Re di Portogallo, da Alfonso I [Alfonso Henriques di Borgogna, detto il Conquistatore, che regnò dal 1139 al 1185] fino a Giovanni Duca di Braganza, "che al presente regna" [Giovanni IV di Portogallo detto il Fortunato, in carica dal 1640 al 1656; è quindi possibile datare grossolanamente questa sezione di lettere in un torno di 13 anni, dall'incoronazione del sovrano portoghese, alla pubblicazione dell'edizione delle stesse, nel 1653]. Sancho I [Sancho Alfonso, conosciuto anche come Martino detto il Popolatore] nacque in Conimbria [Coimbra] l'undicesimo giorno di Novembre del 1154, dove fu subito educato, fino ai quattordici anni, all'arte della guerra e degli eserciti, come è di abitudine per un principe nato al comando [Sancho è figlio di Alfonso I di Portogallo, di cui Loredan scrive nella prima lettera della trattazione storica]. Emulando il valore paterno in combattimento, Sancho diede degna prova di sé stesso in guerra, e subito si guadagnò l'amore dei soldati e la venerazione dei popoli; intervenne in tre vittorie a fianco del padre a rischio della sua stessa vita. Morto il padre Alfonso, Sancho prese la corona in Conimbria il 12 Dicembre 1185 a trentadue anni. Ritrovato il regno libero dalle incursioni dei Mori, si applicò in tutto alla pace dei sudditi e allo sviluppo del popolo: rese a coltura una moltitudine di campi, prima ricettacolo di bestie selvagge [probabilmente con opere di dissodamento e disboscamento, tipiche e usuali in quel periodo del Medioevo] o abbandonate dopo incursioni belliche, tanto che il popolo gli attribuì il nome di Re Agricoltore. Si impegnò nella restaurazione degli edifici pubblici; rinnovò tutti i castelli distrutti dai Mori o guastati dalla guerra; restituì città, terre e fortezze al loro splendore originario, arricchendole di nuovi edifici e abitanti. Economicamente contribuì con grosse rendite al sostentamento di tutti gli ordini dei Cavalieri, in particolare a quelli di San Giacomo. Mentre si occupava del benessere dei suoi sudditi e dell'accrescimento delle rendite del regno, Sancho accolse nel porto di Lisbona una flotta di tredici navi comandate da diversi Principi [crociati], diretti a combattere in Palestina; con loro Re Sancho si alleò e guidò l'impresa nel regno dell'Algarve, ancora in mano ai Mori, concedendo ai Principi alleati le spoglie dei nemici e riservandosi solo le città e la gloria [Nel 1189, alleatosi alle due flotte di crociati che navigavano verso la Palestina, Sancho si spinse in Algarve, dove sbarcato con gli alleati conquistò Alvor e Silves, grande e ricca città dell'estremo sud portoghese. Questa prima spedizione navale portò alla sottomissione della parte occidentale dell'Algarve, di cui, nel 1190, Sancho assunse anche il titolo di re, poi risalì la provincia musulmana alla riconquista di Beja]. Non gli risultò difficile prendere la città di Silves, benché questa resistesse ostinatamente per giorni. Non fu subito felice il possesso di questo regno: prima, unitisi lì tutti i Re dei Mori per vendicare le ingiurie subite dalla loro nazione, Sancho fu costretto a tentare una difesa tanto pericolosa quanto insolita, poi una crudele epidemia di peste provocò la perdita di duecentomila soldati. Liberatosi dai pericoli che minacciavano i suoi uomini, Sancho non potè fuggire da quelli che venivano dal Cielo, scrive il Loredan: le continue piogge inondarono gran parte del regno, distrussero le colture e provocarono la carestia che non poteva essere debellata con nessun mezzo dal Re; questa poi partorì la peste, che tormentò e distrusse quasi tutto il regno. Le città rimasero spoglie di abitanti, le ville e i campi senza più coltura. La disperata situazione dei Cristiani indusse i Saraceni a invadere le campagne senza incontrare resistenza alcuna: essi occuparono la maggior parte del regno dell'Algarve, ad eccezione della città di Sylve [Silves]. Le necessità del Re lo costrinsero a trattare cinque anni di tregua ad ingiuste condizioni. Re Sancho avrebbe voluto porgere aiuti militari, navi e soldati ai Cristiani a Gerusalemme, ma le miserie del suo regno glielo impedirono; assegnò però ai Cavalieri Templari e agli Ospitalieri, che erano da poco giunti in Portogallo, grossi casali, terre e castelli. Non si era nemmeno conclusa la tregua coi Saraceni, scrive il Loredan, quando il Re, procurata l'occasione per romperla, assalì nel mezzo dell'inverno le tanto ardite città occupate dai barbari, che colti di sorpresa da un attacco così rapido e incisivo, furono scacciati non solo dai confini del Portogallo, ma anche da tutto il regno dell'Algarve. Il Loredan prosegue ora illustrando la stirpe di Re Sancho: ebbe per moglie la figlia di Ramon Berengario Conte di Barchinona [Raimondo Berengario IV di Barcellona], chiamata Dolce o Aldonza; questa gli partorì nove figli tra maschi e femmine; dei quali otto sopravvissero al padre e furono: Alfonso il primogenito successore del Regno; Ferdinando, che per le sue singolari virtù fu chiamato nelle fiandre alle nozze con la Contessa Giovanna; Pietro, che fu Conte Irgelense e Signore delle Baleari e morì senza figli; infine Enrico, che morì ancora fanciullo. Le femmine furono cinque: Therasia [Teresa], Mafalda, Sancha, Bianca e Beringhella [Berengaria]. Teresa fu unita in matrimonio con Alfonso Re di Lione suo cugino. Questo matrimonio, però, non fu approvato dal Sommo Pontefice [all'epoca dei fatti: Celestino III, al secolo Giacinto di Pietro di Bobone], che lo dichiarò nullo, costringendo Teresa, dopo aver partorito tre figli, a fare ritorno in Portogallo dove, rinchiusa in un convento [a Lorvão], consumò santamente gli anni di vita che le rimasero. Nel 1617 venne aperto il suo sepolcro e il suo cadavere fu ritrovato intatto, e molti infermi di mali incurabili guarirono votandosi a lei. Mafalda fu sposata a Enrico I Re di Castiglia, benché anche questo matrimonio fosse dichiarato nullo; ma ella, emulando la sorella, fece costruire un monastero dell'Ordine Cistercense, compì numerosi miracoli, in particolare nell'anno 1617 quando fu aperto il suo sepolcro. Sancha, la terza figlia, si fece monaca del convento di San Francesco, dove allora viveva. Bianca e Berengaria invece morirono giovani e furono sepolte dinnanzi al sepolcro del padre; benché, secondo il Loredan, altri scrivano diversamente. Dopo la morte della Regina Aldonza nel 1198, Sancho si diede agli amori con diverse dame; da queste ebbe molti figli che lo inquietarono [illegittimi], "mentre i piaceri del senso non terminano che con il dolore del senso". Arrivato all'età di cinquantasette anni, con ventisei di regno, morì in Conimbria afflitto da una malattia incurabile [nel 1212]. Il suo sepolcro, sito nella chiesa di Santa Croce, nella cappella maggiore alla sinistra dell'altare, fu costruito da Re Emanuele sul modello di quello di suo padre. Sancho lasciò superbe ricchezze in eredità ai suoi figli illegittimi e naturali, senza distinzione. Supplicò il Pontefice Innocenzo IV che eseguisse il suo testamento, in cambio di cento pesi d'oro, dono di gran commissario. Il Loredan si appresta a concludere elogiando la figura di Sancho I, per la virtù e la bontà singolare degno figlio di suo padre. Trovò fortuna nelle guerre, e lì nacquero i suoi trionfi; lasciò il dubbio se in lui fosse maggiore il coraggio o la prudenza; si mostrò così tanto nemico dell'odio che per evitarlo non esitò a posare lo scettro e brandire la zappa o l'aratro [metafora giustificante il suo soprannome per gli interventi nel settore agricolo del regno]. La Fortuna, che lo favoriva nelle guerre, non fece altrettanto nei periodi di pace, quando fu occupato a rimediare le ingiurie della terra, del mare e del cielo. Sarebbe un Re degno di tutti i maggiori encomi, conclude il Loredan, se non si fosse troppo immerso negli amori illeciti e se nei matrimoni delle figlie a
Fonte o bibliografia Giovan Francesco Loredan, Lettere, Venezia, Guerigli, 1653, p. 467, 'Lettere Historiche'
Compilatore Severgnini Ivan
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