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Mittente |
Chiabrera Gabriello |
Destinatario |
Doni Giovambattista |
Data |
20/4/1628 |
Tipo data |
Congetturale |
Luogo di partenza |
Savona |
Luogo di arrivo |
[Roma] |
Incipit |
Nella poca giocondità del nostro paese, non era cosa, che potesse più ricrearmi, che la lode di Vostra Signoria sì perché ella è poesia |
Contenuto e note |
Chiabrera afferma che nella poca serenità del loro paese, nulla avrebbe potuto ristorarlo più dell'ode di Giovambattista Doni, poiché è poesia e poiché è un dono smisurato, che Chiabrera ha ricevuto senza alcun merito. Egli è quindi in debito. Riguardo all'epinicio [Epinicium Ludovico Francorum Regi ob receptam Rupellam repulsamque Anglorum classem [...] adiecta ode Pindarica in idem argumentum ac praefatione, [...], Roma, Stamperia Camerale, 1628, in cui si pubblica anche l'ode citata sopra] dice che Doni è degno di ogni chiaro poeta. Della finezza della lingua latina non parla, poiché non ne è esperto, ma le sue orecchie abituate ad ascoltare la lingua dei romani, si compiacciono dei modi usati da Doni. Le lodi del Re gli sembrano grandi e ben raccontate e apprezza che Doni non stia sempre attaccato al suo primo argomento. Se le gnome fossero più argute e se le metafore si allungassero, crederebbe di vedere Pindaro nel componimento di Doni. Quindi, senza trattare imprese francesi, Doni ha in Vaticano soggetti degni di lode. [La lettera indica il giorno e il mese in cui è stata scritta, ma non l'anno. Presumibilmente l'anno è il 1628, anno di stampa del libro di Doni citato nella lettera]. |
Fonte o bibliografia |
Gabriello Chiabrera, Lettere, a c. di Simona Morando, Firenze, Olschki, 2003, num. 389 |
Compilatore |
Agliardi Silvia |
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