Mittente Della Casa Giovanni Destinatario Camerlengo [Sforza] [Guido Ascanio]
Data 2/10/1546 Tipo data effettiva
Luogo di partenza Venezia Luogo di arrivo [Spoleto]
Incipit Questi imperiali non hanno ancora voluto pigliar ne la prima ne la seconda paga del deposito
Contenuto e note Gli imperiali non hanno ancora voluto ritirare nessuna delle due rate del deposito, nonostante il denaro sia pronto. Dicono che lunedì arriverà Don Diego [Hurtado de Mendoza, ambasciatore di Carlo V a Venezia] insieme all'uomo designato per ritirare gli scudi [cfr. Lorenzo Campana, Monsignor Della Casa e i suoi tempi, in "Studi Storici", XVI (1907), pp. 376 e segg.]. Rimanda la copia del breve sul cinque per cento delle decime, il quale è stato ottenuto senza problemi dai Nunzi antecessori: la nuova difficoltà è che la Signoria sostiene che il breve sia valido solo per le decime già concesse e non per quelle future. La forma del breve pare al Casa "honestissima", perché lascia al Nunzio "per la fatica sua d'essere collettore" il 5%, senza fare menzione della Camera Apostolica, a cui dovrebbe andare la metà di quel 5%. Il Casa ha cercato di riscuotere senza l'ausilio di un nuovo breve, ma si è ritirato sentendosi fare nuove obiezioni. Prega dunque il Camerlengo [Guido Ascanio Sforza] di mandargli un breve specifico "ché col non averlo fin qui si è messo dubbio in quello che era chiaro". Piero Strozzi è andato al campo dei germani [cioè della lega di Smalcalda] con un gentiluomo di Monsignor Dolfino [il Delfino di Francia, Enrico di Valois] e gli ambasciatori del Langravio [Filippo d'Assia]. I veneziani "fanno molta stima" di quest'andata e ritengono che sia segno chiaro della volontà di Sua Maestà Cristianissima [il re di Francia Francesco I di Valois] e come un segno del loro doversi "tener con essi Germani" in questa impresa, anche perché, da lettere del loro ambasciatore presso Carlo V [Alvise Mocenigo], sanno che i cattolici italiani sono molto insoddisfatti e che, con la presenza di un condottiero italiano nell'esercito protestante, passerebbero facilmente di là. Sono stati presi due sicari incaricati di uccidere Lorenzo de' Medici e nei loro alloggiamenti sono state trovate lettere che commissionavano l'omicidio suo e di Piero Strozzi. Costoro sostengono però che il loro compito fosse solo mostrare le vittime a un Giovanbattista Martello, lo stesso sicario spagnolo che sparò a Don Ferrandino [?], che però non si trova. Le lettere che ordinano l'omicidio sono firmate da Don Francesco di Toledo [Francisco de Toledo] o dal viceré di Napoli [Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga]. La mattina precedente è giunto un uomo di Monsignor de Ramon [Gabriel de Luetz, Baron et Seigneur d'Aramon et de Vallabregues, ambasciatore francese nell'Impero Ottomano, conosciuto come Gabriel d'Aramon, da cui l'italianizzazione in "Ramon"], il quale si trova a Ragusa [odierna Dubrovnik], che sta andando alla corte di Francia. Non si sa cosa porti, ma si ipotizza l'avviso della partenza da Costantinopoli del Ramon. La Signoria non ha lettere dall'esercito più recenti di quelle del 21 [settembre], gli imperiali sostengono di averne del 23 in cui si dice che Sua Maestà [Carlo V d'Asburgo] era arrivato con l'esercito sopra Tonaverde [odierna Donauwörth]. I tedeschi del fondaco dicono di avere lettere da Augusta [Augsburg] secondo le quali al Langravio [Filippo d'Assia] sarebbero arrivati in soccorso 12000 fanti e 2000 cavalieri, ma queste cifre appaiono eccessive. Monsignor di Luceria [ovvero il vescovo di Lucera Fabio Mignanelli] era partito per la Marca [anconetana] quando arrivò il corriere, e dunque il Casa ha mandato al prelato la lettera del Camerlengo per la via di Ancona. Il Casa ritiene che la Signoria scriverà al papa [Paolo III, nato Alessandro Farnese] affinché conceda il vescovado di Ceneda a Giulio Grimani, "figliuolo del Patriarca [Marino Grimani, patriarca di Aquileia, morto il 28 settembre di quell'anno. Giulio Grimani era in realtà figlio di suo fratello Marco, il Casa parla di "figliuolo" probabilmente perché Marino Grimani lo aveva designato suo erede al vescovado di Ceneda]": pare che i veneziani lo desiderino molto, poiché la famiglia Grimani è molto amata. Il vescovado valeva circa 1200 scudi, ora, dopo che la Signoria ha tolto il potere temporale, ne vale 900. Il papa dovrebbe aver conosciuto Giulio Grimani, che dicono avere 17 anni e buone qualità. Il senatore Marco Foscari ha pregato il Casa che interceda per Giulio anche a nome di Sua Magnificenza [il Doge Francesco Donato]. Il Vicario [Luca Bisanti;K8 cfr. Giovanna Paolin, L’applicazione del Concilio di Trento nel Patriarcato, in AA. VV., ‘Aquileia e il suo Patriarcato’, Udine, Tavagnacco, 2000, pag. 438] del Patriarca [di Aquileia, Giovanni Grimani] e l'Auditore del Casa [Gherardo Busdraghi, cfr. Campana, XVII (1908), pag. 190] sono stati diversi giorni in Capodistria per la causa del vescovo [Pier Paolo Vergerio, sospettato di eresia], e hanno esaminato molti testimoni di ambo le parti. Si ripromette di scrivere quando il processo sarà finito. A Rialto un "fratuzzo" ha predicato "articoli lutherani con molto scandalo" e il Casa lo ha fatto arrestare, ma i veneziani non gli hanno concesso gli Zaffi [ufficiali giudiziari], dicendo che il frate è matto e che ci penseranno loro [cfr. Campana, XVII (1908), pag. 168]. A quanto pare le lettere dei sicari che dovevano uccidere Lorenzino [de' Medici] non sono sottoscritte da Don Francesco [de Toledo] ma i due giurano di aver ricevuto ordine da lui.
Fonte o bibliografia Ms. Vaticano Latino 14828, cc. 48r - 50r, copia del segretario Erasmo Gemini. Parzialmente edita in Lorenzo Campana, Monsignor Della Casa e i suoi tempi, in “Studi Storici”, XVI (1907), pp. 380-381, 567 (nota); XVII (1908) pp. 168 e nota, 190, 423-424.
Compilatore Boggiani Alessandro
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